Quest’anno ricorre il 30° anniversario della strage dell’Heysel, avvenuta il 29 maggio 1985 presso l’omonimo stadio di Bruxelles durante la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool.
In quella partita il calcio si macchiò di sangue e si assistette a una tragedia sportiva senza precedenti, nella quale persero la vita 39 tifosi e ne rimasero feriti oltre 600. Tra le vittime si contarono poi 32 italiani, tutti tifosi juventini, giunti in Belgio per assistere alla partita della propria squadra del cuore. L’incidente giunse a due settimane di distanza dal disastro di Bradford, quando 56 persone morirono a causa del rogo che avvolse una tribuna dello stadio Valley Parade durante il match tra Bradford City e Lincoln City.



Una premessa doverosa e poco conosciuta.
Prima di addentrarci nella narrazione dei fatti, è doveroso compiere una premessa riguardo i rapporti tra i tifosi della Juventus e del Liverpool antecedenti quel maledetto 29 maggio 1985. La tifoseria bianconera fin dalla sua nascita nutriva profonda stima verso i supporters dei Reds. Esempi significativi possono essere ricondotti al video, presente nel film Ragazzi di Stadio, in cui il leader Beppe Rossi faceva sentire i cori della Kop con grande ammirazione e stima per l’unicità di tale curva. Non bisogna inoltre dimenticare che solo l’anno prima, nel 1984, quando il Liverpool vinse a Roma la Coppa dei Campioni, il centro di Torino fu invaso da migliaia di fans bianconeri che festeggiarono la sconfitta dei giallorossi. Un testimone lì presente, che abbiamo avuto la fortuna di poter incontrare, ci ha raccontato di quanto “è indelebile nella mia mente che la targhetta riportante la scritta via Roma divenne via Liverpool”. I tifosi della Juve avevano anche preparato per l’occasione uno striscione ad hoc che recitava: vinci per noi magico Liverpool, la Filadelfia è con te. Nella stessa circostanza, alla sede del più grande club della Juve in via Bogino, era stata srotolata un’enorme bandiera inglese con l’effige del Liverpool, portata dall’Inghilterra in seguito ad un viaggio di studio dei sostenitori bianconeri nella città dei Beatles. Numerose sono state poi le persone giunte a Liverpool per imparare i comportamenti e i modi di fare dei Reds. Questa ammirazione nei loro confronti era visibile anche nei giorni prima della partita dell’Heysel e si era tramutata in scambi di sciarpe, maglie e di bevute collettive nei pub. Tuttavia nell’imminenza della delicata sfida, complice la posta in palio, la tensione era salita e molti inglesi privi di biglietto volevano ugualmente entrare allo stadio. Alcuni tifosi della Juve, incautamente, vennero a contatto con gruppi di sostenitori del Liverpool, lanciando oggetti verso i tifosi avversari. Questo clima di crescente agitazione esplose nei tragici fatti che possiamo ancora vedere in televisione o che ritornano alla mente nei sopravvissuti e a che breve vi racconteremo. Certamente questa introduzione non vuole giustificare quanto successo, ma conoscendo il calcio inglese -e in particolare la tifoseria del Liverpool, protagonista suo malgrado anche dei fatti di Hillsborough- viene da pensare che l’Heysel sia stato un incidente non cercato. La tifoseria del Liverpool non è infatti considerata una della più violente in Inghilterra, a patto di non essere provocata, ma è nota soprattutto per cercare amicizia e goliardia.

Uno stadio inadeguato e fatiscente.
Per capire le cause di una strage di tali dimensioni, avvenuta per una normalissima finale di Coppa dei Campioni, occorre partire dalla scelta dello stadio da parte dell’UEFA, l’organo amministrativo del calcio europeo, la quale aveva disposto che la finale venisse giocata nel vecchio stadio Heysel; tale decisione era stata fortemente critica dai due club per tutta una serie di ragioni: • l’impianto era fatiscente, privo di adeguate uscite di sicurezza e di corridoi di soccorso;
• campo e tribune erano mal tenuti;
• i muri divisori erano vecchi, fragili e dagli stessi cadevano pezzi di calcinacci;
• lo scarico dei servizi igienici colava dalle pareti, rendendo le stesse ancora più vulnerabili.
Per quanto riguarda invece la disposizione all’interno dell’Heysel, i tifosi vennero così sistemati: a numerosi supporter italiani, molti dei quali appartenenti a gruppi organizzati, vennero riservati i settori N, O, M situati nella curva opposta rispetto ai settori X e Y occupati dai tifosi del Liverpool; tanti altri spettatori si organizzarono autonomamente nell’acquisto dei tagliandi e si trovarono collocati nella tribuna Z, riservata al pubblico neutro, separati da due inadeguate reti metalliche (passate alla storia come chicken wires, ovvero reti per polli) dalla curva dei tifosi inglesi.



I presagi della strage.

Qualche ora prima dell’inizio della partita, dopo un pomeriggio trascorso tra piccoli scontri, furti, rapine, ma anche con incontri pacifici tra le tifoserie si poterono intravedere le prime, spiacevoli e premonitrici sorprese:
• Il settore Z, destinato ai tifosi neutri, era in realtà interamente occupato da tifosi juventini. Non ultras o gente di club, ma persone che miracolosamente erano riuscite ad accaparrarsi il prezioso biglietto per la finale; insomma, gente qualunque, pacifica, famiglie con tanto di bambini al seguito.
• I settori X e Y, riservati invece ai sostenitori del Liverpool, erano pieni all’inverosimile, in quanto moltissimi di loro erano entrati senza biglietto sfruttando la totale assenza di controlli all’ingresso.
• Le reti metalliche, le sopra citate chicken wires, erano simili a quelle che si trovano sui campi da tennis ed erano sorvegliate da soli 12 gendarmi.

La cronaca e i perché di quanto accaduto.

E così, un’ora prima del fischio d’inizio, si assistette a quella tragedia passata alla storia come “Strage dell’Heysel”: i famigerati hooligans si spinsero verso il settore Z cercando di compiere il cosiddetto “take an end”, ovvero tentarono di conquistare la curva, sfondando le reti divisorie. Occorre tuttavia compiere alcune precisazioni, legate soprattutto al diverso modo di concepire il tifo in Italia e in Inghilterra, sebbene i tifosi del Liverpool pensassero (erroneamente) fosse il medesimo. Negli anni ’70 e ’80 in tutta Oltremanica divampava il fenomeno degli hooligans, una delle cui caratteristiche era il tentativo di conquista della curva avversaria, specialmente durante i match in trasferta. Probabilmente, molti Reds non avevano affatto intenzione di attaccare gli juventini, ma solo di simulare la carica per spaventare gli avversari, una pratica di uso comune nel campionato inglese ma sconosciuta in Italia. Gli hooligans del Liverpool sostennero così di aver caricato più volte a scopo intimidatorio, ma i semplici spettatori presenti nel Settore Z, impauriti, anche per il mancato intervento e per l’assoluta impreparazione delle forze dell’ordine belghe, che ingenuamente ostacolavano la fuga degli italiani verso il campo manganellandoli, furono costretti ad arretrare contro il muro opposto alla curva dei sostenitori del Liverpool. Inoltre, memori degli incidenti della finale di Roma di un anno prima, gli hooligans del Liverpool si aspettavano forse una reazione altrettanto violenta da parte dei tifosi juventini. Gli inglesi, inoltre, si organizzarono studiando perfettamente le vie della città intorno allo stadio e preparandosi allo scontro che loro stessi credevano sarebbe stato violentissimo, proprio come avvenuto nella finale di Coppa Campioni di Roma del 1984. In quell’occasione, infatti, numerosi tifosi della Roma, delusi per la sconfitta subita ai rigori, al termine dell’incontro iniziarono una autentica caccia all’inglese nelle stradine limitrofe all’Olimpico. Essendo però gli ultras bianconeri situati nella curva opposta, la tanta sperata reazione che si auspicavano i Reds non avvenne.



A questo punto, i normali spettatori lì presenti indietreggiarono sempre di più, fino ad ammassarsi contro il muro del settore Z: molti si gettarono nel vuoto per evitare di essere schiacciati, alcuni cercarono di entrare nel settore adiacente e altri ancora si riversarono in campo, venendo manganellati dalla polizia che ancora non aveva compreso la gravità del fatto. Il muro ad un certo punto crollò per il troppo peso, numerose persone rimasero schiacciate, calpestate e uccise dalla folla che disperatamente cercava una via di fuga. Nonostante lo speaker dello stadio e i capitani invitassero alla calma, molti ancora non si resero conto di quanto stava capitando, finché, dopo circa mezzora, un reparto della polizia belga giunse sul campo trovandosi di fronte numerosi corpi privi di vita e frange di ultras bianconeri inferociti che si erano riversati sul terreno di gioco. Gli scampati alla tragedia si rivolsero ai giornalisti in tribuna stampa perché telefonassero in Italia per rassicurare i familiari. I morti furono 39, dei quali 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e 1 irlandese. Oltre 600 i feriti. La diretta televisiva dell’incontro su Rai 2 si aprì con il video volontariamente oscurato, mentre il costernato commentatore Bruno Pizzul tentava di attribuire l’imprevisto a cause tecniche; tuttavia il TG1 iniziò a riportare le immagini degli incidenti e degli spettatori che cadevano a frotte nella scalinata, cosicché i telespettatori in attesa potessero apprendere della tragedia in atto.

La decisione di UEFA e forze dell’ordine: si gioca.
Tuttavia, al fine di evitare ulteriori tensioni tra le tifoserie, con i giocatori di entrambe le squadre parzialmente a conoscenza dei fatti, si decise ugualmente di disputare la partita.
La decisione fu presa dalle forze dell’ordine belghe e dai dirigenti UEFA. Il commentatore della RAI Bruno Pizzul accolse con disappunto la decisione di disputare comunque l’incontro, promettendo al pubblico di commentarlo “nel modo più asettico possibile“. La televisione tedesca si rifiutò di trasmettere la partita, mentre quella austriaca, pur non interrompendo la diretta, sospese la radiocronaca, mettendo in sovrimpressione una scritta che recitava: “Questa che andiamo a trasmettere non è una manifestazione sportiva“.
Al termine dell’incontro la Juventus si aggiudicò la Coppa Campioni, sconfiggendo il Liverpool 1-0 grazie a un gol su rigore di Michel Platini.

 

Il dopo-gara tra critiche e censure.
Alcuni giocatori della Juventus, tra cui il suo leader Michel Platini, autore della rete decisiva, furono molto criticati per essersi lasciati andare a esultanze eccessive vista la gravità degli eventi, ma la gioia durò poco: infatti lo stesso Platini il giorno dopo, quando tutti erano venuti a conoscenza della morte di 39 persone, dichiarò che innanzi a una tragedia di quel genere i festeggiamenti sportivi passavano in secondo piano. Anche Giampiero Boniperti, presidente bianconero, affermò che di fronte a quella situazione non era il caso di festeggiare la vittoria, mentre il sindaco di Torino censurò l’esultanza nelle strade dei concittadini tifosi.

 

Le dichiarazioni dei giocatori.
Nel 1995, in occasione del 10º anniversario della strage, Platini disse in un’intervista rilasciata al quotidiano La Stampa che i giocatori erano a conoscenza solo parzialmente dell’accaduto e che i festeggiamenti per la vittoria insieme al resto della tifoseria juventina presente allo stadio, quasi ignara della vera situazione, fossero gesti spontanei.
In un’altra intervista Zbigniew Boniek confessò che non avrebbe voluto giocare quell’incontro e che non ritirò il premio partita per quella vittoria, mentre nel 2005 Marco Tardelli si scusò per i festeggiamenti nel corso di un dibattito televisivo.

 

Il seguito.
Alcuni dirigenti juventini e Michel Platini si recarono a fare visita ai feriti negli ospedali della zona, mentre nella camera mortuaria allestita all’interno di una caserma i parenti delle vittime furono accolti da Re Baldovino e dalla consorte Fabiola.
Nei giorni successivi l’UEFA, su proposta del Governo di Londra e visti altri simili precedenti, come il disastro di Bradford avvenuto soli 18 giorni prima, decise di escludere le squadre inglesi a tempo indeterminato dalle Coppe europee e il Liverpool per ulteriori tre stagioni (poi ridotta a una). Il provvedimento fu applicato fino al 1990, un anno dopo la strage di Hillsborough, che vide protagonisti i tifosi del Liverpool, una tragedia consumatasi non per aggressione di facinorosi, ma per inadempienze dei servizi d’ordine.
Nel 1988 il regista Marco Tullio Giordana diresse il film drammatico Appuntamento a Liverpool, ispirato alle vicende successive alla strage dell’Heysel, che vedeva Isabella Ferrari come protagonista nel ruolo della figlia di una delle vittime, alla ricerca dell’assassino del padre.
Dal 2000 all’interno dello stadio una targa commemorativa ricorda la tragedia del 1985.

 

Squadre inglesi escluse dal 1985-1986 al 1990-1991.
I club inglesi che nei cinque anni successivi (sei anni per il Liverpool) non poterono partecipare alle competizioni UEFA furono 15.

Everton; Manchester United; Liverpool; Tottenham; Southampton; Norwich City; West Ham; Sheffield Wednesday; Oxford United; Coventry City; Arsenal; Wimbledon; Nottingham Forest; Luton Town; Derby County.

La Supercoppa Europea 1985 tra Juventus (vincitrice della Coppa dei Campioni 1984-1985) ed Everton (vincitore della Coppa delle Coppe 1984-1985) non venne disputata in seguito alla squalifica di tutti i club inglesi.
La squalifica del Liverpool terminò nel 1991 anziché nel 1990: di conseguenza i Reds furono esclusi dalla Coppa dei Campioni 1990-1991 e ricominciarono a disputare le competizioni europee a partire dalla Coppa UEFA 1991-1992